Pesci Piccoli dei The Jackal è un reel fatto serie tv (ma funziona benissimo e vi spiego perché)
Ho visto in anteprima la seconda stagione della serie tv del famoso collettivo, su Prime Video dal 13 giugno
Pesci Piccoli, per i The Jackal, è il lavoro definitivo. Anni di reel, di collaborazioni, di partecipazioni e conduzioni televisive per arrivare a questo: una serie tv che rispecchia in tutto e per tutto la loro filosofia di vita e di lavoro.
La seconda stagione, su Prime Video dal 13 giugno, è un perfetto mix di idee da vedere sullo schermo di uno smartphone per pochi minuti e della passione per le comedy made in Usa (workplace comedy, per la precisione) che hanno creato un immaginario utopistico del luogo di lavoro come una seconda casa con una seconda famiglia. Qualcosa che ci dà l’impressione di già visto, di troppo copiato dalla tv straniera, ok, eppure non riesci a smettere di guardarlo.
Per chi non fosse in pari con l’ultima fatica degli Sciacalli, Pesci Piccoli è ambientata in una piccola agenzia di comunicazione, lontana dalle grosse agenzie delle metropoli che si dividono contratti milionari e clienti prestigiosi. I protagonisti (che poi sono Ciro Priello, Fabio Balsamo, Gianluca Fru ed Aurora Leone, con vari innesti extra-Jackal) si barcamenano tra idee da proporre e realizzare, ambizioni personali e vita privata che viene inevitabilmente condivisa con i colleghi.
In Pesci Piccoli c’è molto, moltissimo, delle workplace comedy statunitensi: dal senso dell’assurdo alle storyline romantiche che crescono di episodio in episodio, passando per rivelazioni che stravolgono sì, ma non troppo, la trama e le immancabili guest-star (nella stagione 2 pullulano: ci sono Peppe Vessicchio, Stefano Rapone e Daniele Tinti e Danilo Bertazzi, direttamente dal Fantabosco).
Il tentativo dei The Jackal è, insomma, evidente: replicare un modello di successo oltreoceano, adattandolo alla cultura italiana e soprattutto al modo con cui il collettivo si è fatto scoprire sui social. Ne viene fuori una serie che non si può definire esperimento, ma conferma di un modello narrativo a noi già noto ma inedito nell’applicazione a usi e costumi italici.
I The Jackal svolgono al meglio il loro compito, e fanno di questa serie una furba raccolta di reel combinati tra di loro per poter formare un episodio, avvantaggiati dal formato di durata maggiore e dalla possibilità di una narrazione orizzontale che permette di esplorare al meglio i personaggi.
Personaggi che, però, sono sempre troppo simili ai corrispettivi social: per questo Pesci Piccoli altro non è che un prolungamento di un lavoro cominciato altrove e che nel formato seriale cerca e trova conferma.
Ma, come vi ho già detto, nonostante questa impressione di stare guardando qualcosa che in fin dei conti abbiamo già visto, non riusciamo a smettere di farlo. Questo perché Pesci Piccoli compensa la sua ripetitività dai social alla serie con una cura nella realizzazione notevole: l’impegno è quello di una serie tv di ottima qualità, che non vuole sprecare neanche un’occasione per arrivare dritta al proprio pubblico che no, non rimarrà deluso.
Tutto ciò che i The Jackal hanno fatto in questi anni, mi viene da pensare, doveva portare a questo. Perché se è vero che la loro presenza fuori dai social è vista a volte come eccessiva (la famosa “tassa Jackal”, per intenderci, applicata da quelle produzioni tv così insicure che devono attingere dai social per illudersi di avere una maggiore risonanza tra il pubblico), è altrettanto vero che Ciro, Fabio, Gianluca. Aurora si sono costruiti con questa serie una seconda casa, dove possono accomodarsi ed esprimersi senza doversi piegare a qualsiasi altra logica che non sia quella dettata dal Jackal style.